Il diritto di marchio, sia registrato che di fatto, ha contenuto patrimoniale e, in quanto tale, può essere liberamente trasferito dal suo titolare ad altri soggetti, con l’unico limite previsto dall’articolo 23 c.p.i, ovvero di non generare inganno nel pubblico.
Un corretto utilizzo di operazioni di licenza commerciale dei propri marchi, consente alle aziende di acquisire maggiore notorietà commerciale, anche in un pubblico diverso, da quello di riferimento standard. L’operazione viene attuata con diversi meccanismi contrattuali, quali operazioni di licenze, di co-branding, oppure di merchandising. Quest’ultimo comprende figure eterogenee, che possono consistere nello sfruttamento di un marchio, del diritto di autore oppure del diritto al nome ed all’immagine di un artista (c.d. personality merchandising).
Il fenomeno è nato negli Stati Uniti, con il così detto character merchandising, ovvero la pratica di incorporare nei messaggi pubblicitari opere protette dal diritto di autore. In epoca successiva si è affermata la prassi del trademark o corporate merchandising, con cui il titolare di un marchio notorio concede il segno in licenza a un imprenditore diverso, affinché lo usi per beni o servizi del tutto diversi dai propri. Il licenziante infatti ha il titolo per contraddistinguere col proprio marchio beni o servizi differenti dai propri, e può sfruttare la forza pubblicitaria del proprio marchio e nel suo valore evocativo e suggestivo all’acquisto. Giova ricordare altresì che attraverso questa operazione il titolare del segno può, talvolta, beneficiare di effetti promozionali sui suoi stessi prodotti originari.
Lo strumento giuridico e pubblicitario è particolarmente diffuso oggi anche nel settore cinematografico, dove i produttori prevedendo la notorietà del film, o di uno dei personaggi, scelgono di ricorrere ad una tutela anticipata del titolo del film o dei suoi protagonisti, tramite la loro registrazione come marchio: in tal modo avranno i diritti di privativa garantiti dalla legge, e potranno produrre e commercializzare il “merchandise” rilevante. Un esempio per tutti, in questo senso “Violetta” della Disney.
Avendo come base di diritto l’insieme delle disposizioni dettate dal codice civile in merito al contratto in generale, l’oggetto del contratto di merchandising di fatto assume una notevole varietà di forme. Dal disegno al personaggio cinematografico, al logo della squadra di calcio, fino al cartone animato.
Da un lato quindi il licenziatario sfrutta il valore simbolico, per esempio, del marchio per commercializzare i propri prodotti, dall’altro il licenziante trae vantaggio dal valore insito nello stesso ottenendo un compenso economico dal licenziatario. Tale compenso di norma è previsto sotto forma di percentuali sui guadagni del licenziatario in riferimento ad un determinato periodo contrattuale, documentati tramite puntuali e appositi rendiconti.
Nell’ambito del rapporto fra le due parti vengono fissate delle regole o delle prassi a garanzia del rispetto degli obblighi contrattuali: il contratto può infatti prevedere dei compensi minimi garantiti per il titolare, mettendolo al riparo da eventuali fatturati insoddisfacenti prodotti dal licenziatario, e delle condizioni vantaggiose di fornitura al licenziante stesso, qualora quest’ultimo abbia interesse ad acquistare, per propri fini commerciali, i prodotti commercializzati dal licenziatario; inoltre il proprietario del marchio si riserva di attuare una serie di forme di audit sui prodotti che verranno commercializzati, al fine di preservare l’alto livello della qualità dei prodotti stessi e dei servizi di consegna.
Il diritto di merchandising però è temporalmente giovane, e si interfaccia con altri diritti che vanno necessariamente acquisiti, per non apparire come uno dei tanti “imbroglioni da bancarella” nel momento in cui viene commercializzato l’articolo di merchandise.
Ad esempio, se si volesse fare una linea di abbigliamento riproducente attori/attrici famose, dovremo necessariamente acquistare il diritto di riprodurre la loro foto, dal fotografo, nonché il così detto “prezzo del consenso” allo sfruttamento commerciale della loro immagine pubblica, o anche della loro “maschera scenica”, ovvero il personaggio interpretato ( ad esempio: Don Matteo”). La protezione viene estesa anche ai suoi di abbigliamento portati con costanza assoluta dal personaggio notorio.
Più problematica, poi, l’ipotesi in cui si voglia ricavare merchandise da un fotogramma di film: qui verranno in gioco i diritti del produttore sul fotogramma, ove previsti anche per il merchandising, unitamente al consenso all’uso dell’immagine dei singoli interpreti.
Infine, l’art. 8 del Codice di proprietà industriale prevede che i segni notori, e tra questi il nome e l’immagine o il ritratto di una persona, o altri segni notori distintivi e /o, possono essere registrati come marchi solo dall’avente diritto, e non da terzi.
Alcuni “imprenditori” ritengono che sia possibile utilizzare l’immagine di personaggi notori, posterizzandola, ma non è così. Il personaggio famoso, o i suoi eredi, hanno sempre diritto ad opporsi allo sfruttamento commerciale della propria immagine, e va quindi sempre acquisito il prezzo del consenso. Analogamente accade, quando si pensa di poter modificare lievemente fotogrammi di film: non dovrà trattarsi di una semplice posterizzazione, ma una vera e propria elaborazione dell’opera, ispirandosi al fotogramma.
Nel 2003, ad esempio, un’importante sentenza ha ammesso la tutela di bozzetti pubblicitari in via autonoma, in quanto elaborazione originale ed artistica (“rectius” creativa), per scelta di colori, tecnica di pittura, valorizzazione dei contrasti, scelta di un particolare atteggiamento del protagonista nell’immagine di un film (nello specifico si trattava di Rambo che imbracciava un fucile mitragliatore lanciarazzi).
Ma già qui i confini del contratto di merchandising cominciano a farsi sempre meno netti e si entra, più che nel mondo dei segni distintivi, in quello delle creazioni d’autore, con nuovi problemi e nuove prospettive.
Avv. Annaluce Licheri