Immaginate di essere in un supermercato all’estero, magari a New York o a Tokyo. Siete alla ricerca di un pezzo d’Italia, forse per nostalgia o per condividere con amici stranieri un assaggio della vostra cultura. Ecco che lo scaffale si riempie di colori familiari: il verde, il bianco e il rosso della bandiera italiana campeggiano su confezioni che promettono autentici sapori di casa. Ma c’è qualcosa che non torna perché i nomi dei prodotti suonano italiani, certo, ma con piccole imperfezioni che un madrelingua noterebbe subito. È in questo momento che vi imbattete nel fenomeno dell’Italian Sounding, una pratica tanto diffusa quanto controversa che sta ridefinendo il concetto di “Made in Italy” su scala globale.

 

L’Italian Sounding: un’imitazione che vale miliardi

Ma cos’è esattamente l’Italian Sounding? Immaginate un camaleonte commerciale capace di assumere le sembianze dell’italianità senza possederne la sostanza. Questa immagine rende bene l’uso di parole, immagini, combinazioni cromatiche e riferimenti geografici che evocano l’Italia per promuovere e vendere prodotti che, in realtà, con il Bel Paese hanno poco o nulla a che fare. E non pensiate che questo fenomeno si limiti al mondo del cibo: dall’abbigliamento al design, passando per i cosmetici e persino per i servizi, l’Italian Sounding è un’ombra che si allunga su molteplici settori dell’economia globale.

Per comprendere la portata di questo fenomeno nel campo alimentare, basta dare uno sguardo ai numeri: secondo le stime di Federalimentare, l’associazione di categoria dell’industria alimentare italiana, l’Italian Sounding genera un giro d’affari mondiale di circa 55 miliardi di euro all’anno. Per mettere questa cifra in prospettiva, pensate che supera di gran lunga il valore delle esportazioni autentiche di prodotti Made in Italy. È come se per ogni euro guadagnato dall’Italia con le sue esportazioni genuine, ce ne fossero altri due generati da imitazioni e falsi riferimenti all’italianità.

Chiariamo subito: l’Italian Sounding non è un fenomeno recente e gli operatori del settore lo conoscono bene. Tuttavia, tra alti e bassi, l’attenzione mediatica è stata riaccesa qualche anno fa, durante le battute finali di Expo 2015, quando Federalimentare ha chiesto la costituzione di un Osservatorio permanente sull’Italian Sounding per monitorarlo a livello globale.

Con l’avvento della globalizzazione, questo fenomeno si è amplificato esponenzialmente e l’apprezzamento per lo stile di vita italiano, per il suo cibo, la sua moda e il suo design si è diffuso. Improvvisamente, essere “italiano” o “all’italiana” è diventato sinonimo di qualità, stile e buon gusto in tutto il mondo. Questa popolarità ha creato una domanda di prodotti “italiani” che spesso supera l’offerta autentica, aprendo la strada a imitazioni e approssimazioni.

 

La sottile linea tra omaggio e inganno

A questo punto, potreste chiedervi: ma qual è il problema? Non è forse un omaggio all’Italia, un riconoscimento del suo valore culturale?
La questione è più complessa di quanto possa sembrare.
Innanzitutto è importante distinguere l’Italian Sounding dalla contraffazione vera e propria poiché quest’ultima implica la violazione diretta di marchi registrati o denominazioni di origine protette (come DOP, IGP, DOC) ed è chiaramente illegale. L’Italian Sounding, invece, opera in una zona grigia sfruttando l’associazione con l’Italia senza necessariamente infrangere leggi specifiche.

Immaginate un formaggio chiamato “Parmesano”, prodotto in Wisconsin. Non è Parmigiano Reggiano, non ne usa il marchio protetto, ma il nome suona italiano e potrebbe indurre il consumatore a pensare di acquistare un prodotto italiano.

Questo tipo di pratica solleva questioni etiche e commerciali: da un lato, si potrebbe argomentare che è un tributo alla qualità percepita dei prodotti italiani; dall’altro rappresenta una forma di concorrenza sleale che danneggia i produttori italiani autentici e inganna i consumatori.

 

Il labirinto legale: sfide e tentativi di regolamentazione

Affrontare l’Italian Sounding dal punto di vista legale è come navigare in un labirinto. In Italia, la tutela del Made in Italy è regolata da varie norme, tra cui la Legge 350/2003 (Legge finanziaria 2004) e successive modifiche. In particolare, l’articolo 4, commi 49 e 49 bis di questa legge, punisce le condotte che configurano il reato previsto dall’articolo 517 del Codice Penale (vendita di prodotti industriali con segni mendaci) e quelle che costituiscono un illecito amministrativo.

Inoltre, la Legge 28 giugno 2019, n. 58, ha incluso il contrasto all’Italian Sounding tra le competenze del Consiglio Nazionale Anti-Contraffazione, rinominato CNALCIS (Consiglio Nazionale per la Lotta alla Contraffazione e all’Italian Sounding).

La normativa italiana distingue tra “false indicazioni” e “fallaci indicazioni” di origine: una “falsa indicazione” si ha quando si usa esplicitamente la dicitura “Made in Italy” su prodotti non originari dall’Italia. Questo è un reato perseguibile penalmente. Una “fallace indicazione”, invece, si riferisce all’uso di segni, figure o altro che possano indurre il consumatore a credere che il prodotto sia di origine italiana, anche in presenza di indicazioni sulla vera origine che risultino però poco evidenti o difficili da individuare. Queste possono configurare un illecito amministrativo punibile con sanzioni pecuniarie.

D’altra parte, la Cassazione, con la sentenza n. 23850/2022 del 21 giugno, ha fornito un’interpretazione estensiva di queste norme, stabilendo che anche l’uso della sola dicitura “Italy” su prodotti non italiani è sufficiente a configurare il reato, anche in assenza della locuzione “made in”. Questa decisione mira a proteggere i consumatori da potenziali inganni sull’origine dei prodotti.

Ma come si applica tutto questo a livello internazionale? È qui che le cose si complicano perché ogni paese ha le sue leggi sulla protezione dei consumatori e sulla concorrenza sleale, e ciò che in Italia potrebbe essere considerato illegale, in altri paesi potrebbe essere perfettamente accettabile.

Per comprendere meglio la complessità della questione, consideriamo il recente caso che ha coinvolto Barilla negli Stati Uniti. L’azienda, simbolo della pasta italiana nel mondo, si è trovata al centro di una potenziale class action. Il motivo? L’uso della dicitura “ITALY’S #1 BRAND OF PASTA®” su prodotti fabbricati negli Stati Uniti con ingredienti non italiani.
Il giudice ha dato l’ok alla procedura di certificazione della class action, pur senza entrare nel merito della questione. Barilla ha presentato una mozione per far rivedere questa decisione, convinta della validità della propria comunicazione marketing e delle confezioni utilizzate.
Questo caso solleva interrogativi fondamentali: cosa rende un prodotto “italiano”? È sufficiente che l’azienda sia di origine italiana? O il prodotto deve essere effettivamente realizzato in Italia con ingredienti italiani? E come si bilanciano queste considerazioni con le realtà economiche della produzione globale?

La decisione del giudice di permettere la procedura per la class action evidenzia quanto queste questioni siano diventate centrali nel dibattito sulla tutela dei consumatori e sulla trasparenza commerciale.

 

Iniziative di contrasto: un fronte unito contro l’inganno

Di fronte a questa sfida, l’Italia non è rimasta a guardare e sono state avviate diverse iniziative per contrastare il fenomeno dell’Italian Sounding:

  • Osservatorio permanente sull’Italian Sounding: proposto da Federalimentare nel 2015, questo organismo mira a monitorare e analizzare il fenomeno su scala globale.
  • Task Force internazionali: collaborazioni tra enti come l’Agenzia ICE, la DGTPI-UIBM (Direzione Generale per la Tutela della Proprietà Industriale-Ufficio Italiano Brevetti e Marchi), e Federalimentare per promuovere i prodotti autentici italiani all’estero.
  • Protocollo d’intesa MISE-Agenzia delle Dogane: focalizzato sulla formazione dei giovani contro la contraffazione e l’Italian Sounding, questo programma mira a creare una nuova generazione di consumatori consapevoli.
  • CNALCIS (Consiglio Nazionale per la Lotta alla Contraffazione e all’Italian Sounding): evoluzione del precedente CNAC (Consiglio Nazionale Anti-Contraffazione), questo organismo ha un mandato ampliato per affrontare specificamente l’Italian Sounding.
  • Iniziative private: alcune startup hanno sviluppato app che permettono ai consumatori di verificare l’autenticità dei prodotti attraverso la scansione dei codici a barre, mettendo la tecnologia al servizio della trasparenza.

Inoltre, l’ICQRF (Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari), l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza sono attivamente impegnate nel contrasto all’Italian Sounding di matrice italiana, ovvero l’azione di chi importa materie prime da vari paesi, le trasforma e rivende i prodotti come italiani senza lasciare traccia.

Queste iniziative rappresentano un fronte unito nella lotta contro l’Italian Sounding, combinando educazione, tecnologia e azione legale per proteggere l’autenticità del Made in Italy.

 

L’ironia linguistica: combattere l’Italian Sounding con l’English Sounding

In questo contesto emerge un curioso paradosso linguistico: nella lotta contro l’Italian Sounding si è coniata un’espressione che è essa stessa un esempio di “English Sounding”. Alcuni linguisti hanno sottolineato l’ironia di usare un termine non autenticamente inglese per combattere l’uso improprio di riferimenti italiani.
Questa contraddizione si estende anche alle strategie di marketing per promuovere i prodotti italiani autentici. Il marchio “Italian Taste” presentato dal MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali) nel 2015, con la frase “The Extraordinary Italian Taste”, solleva interrogativi sull’efficacia di usare l’inglese per promuovere l’autenticità italiana: è come se, nel tentativo di affermare la propria identità sul mercato globale, l’Italia stessa cadesse nella trappola dell’imitazione linguistica.

Questo fenomeno riflette chiaramente la complessità del marketing internazionale e la difficoltà di bilanciare autenticità e attrattività globale.

 

L’etichettatura e la tutela del Made in Italy

La questione dell’etichettatura è centrale nella lotta contro l’Italian Sounding e nella tutela del Made in Italy e, in Italia, la normativa in materia è particolarmente stringente. Secondo la legislazione attuale, un prodotto può fregiarsi del marchio “Made in Italy” solo se ha subito nel nostro paese l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale. Questo significa che una parte significativa del processo produttivo deve avvenire in Italia.

Per i prodotti alimentari, il Regolamento (UE) n. 1169/2011 ha introdotto nuove regole sull’indicazione dell’origine, mirando a garantire una maggiore trasparenza per i consumatori. Per i prodotti non alimentari, il Codice Doganale dell’Unione Europea stabilisce che un prodotto è considerato originario del paese in cui è avvenuta “l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale”. Tuttavia, l’interpretazione di questa norma può variare a seconda del settore e del tipo di prodotto.

Per i prodotti non alimentari, il Codice Doganale dell’Unione Europea stabilisce che un prodotto è considerato originario del paese in cui è avvenuta “l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale”. Anche in questo settore, l’interpretazione può però variare.

Un caso emblematico che illustra la complessità dell’etichettatura è quello della Fiat Topolino: nonostante il marchio storico italiano, la vettura è prodotta in Marocco ma è stata venduta con adesivi tricolore sulle fiancate. La presenza di tali contrassegni potrebbe indurre gli acquirenti a pensare che l’auto sia prodotta in Italia. Questo aspetto ha portato a controversie culminate con l’invito di Stellantis (la società madre di Fiat) rivolto agli acquirenti, a recarsi in concessionaria per far rimuovere gratuitamente questi adesivi, al fine di conformarsi alle norme sull’Italian Sounding.
Questo episodio solleva domande cruciali: cosa significa veramente “Made in Italy” in un’economia globalizzata? Dove tracciamo il confine tra identità nazionale e realtà produttive internazionali?
E quanto sono realmente inconsapevoli queste scelte che mirano a sfruttare un marchio di “italianità” a vantaggio delle vendite?

Per superare le incertezze e garantire un riconoscimento “totale”, già nel 2009 il legislatore italiano aveva introdotto (Legge n. 166/09) un nuovo marchio di origine: il “100% Made in Italy”. Possono considerarsi interamente italiani soltanto i prodotti per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento siano avvenuti esclusivamente sul territorio italiano.

 

Il futuro del Made in Italy

Guardando al futuro, l’Italian Sounding rappresenta sia una sfida che un’opportunità per l’Italia. Da un lato c’è la necessità di proteggere i produttori italiani e l’economia nazionale dall’erosione del valore del marchio “Made in Italy”. Dall’altro, il fenomeno testimonia l’enorme fascino globale dello stile di vita italiano e la qualità dei prodotti nazionali. Un asset che, se gestito correttamente, potrebbe tradursi in un vantaggio competitivo ancora maggiore!

Le soluzioni future potrebbero includere:

  1. Armonizzazione delle normative a livello europeo e internazionale, per creare un quadro legale più coerente e efficace nella lotta all’Italian Sounding.
  2. Maggiore educazione dei consumatori sull’autenticità dei prodotti italiani, utilizzando campagne di sensibilizzazione innovative.
  3. Sviluppo di tecnologie per la tracciabilità e la verifica dell’origine dei prodotti, sfruttando innovazioni come la blockchain per garantire la trasparenza della filiera produttiva.
  4. Strategie di marketing che valorizzino l’autenticità senza cadere in stereotipi, trovando un equilibrio tra tradizione e modernità nella presentazione del Made in Italy.
  5. Collaborazioni internazionali per promuovere una cultura del rispetto della proprietà intellettuale e dell’autenticità dei prodotti.

Un’iniziativa particolarmente interessante in questa direzione è il movimento “Stop Italian Sounding”, nato nel 2021 negli Stati Uniti su impulso di Robert Campana, un imprenditore italoamericano attivo nella promozione dell’autenticità del Made in Italy. Attivo sui principali social network, questo movimento mira a sensibilizzare i consumatori americani sul fenomeno dell’Italian Sounding e sui rischi di essere ingannati da prodotti che si spacciano per italiani senza esserlo realmente. Campana, forte della sua esperienza imprenditoriale e della sua doppia appartenenza culturale, ha fatto della lotta contro l’Italian Sounding una battaglia personale, sfruttando la popolarità dei social media per diffondere consapevolezza e coinvolgere direttamente i consumatori. Iniziative del genere, che uniscono la diffusione di consapevolezza con l’utilizzo di piattaforme digitali, potrebbero rivelarsi cruciali per contrastare efficacemente la disinformazione e tutelare l’autenticità del Made in Italy su scala globale.

 

Conclusione: l’autenticità in un mondo globalizzato

In conclusione, l’Italian Sounding è più di un semplice fenomeno commerciale: è uno specchio delle complesse dinamiche della globalizzazione, dell’identità culturale e del valore del marchio nazionale. Rappresenta una sfida che richiede un equilibrio delicato tra protezione dell’autenticità, realtà economiche globali e aspettative dei consumatori.
La vera sfida per il futuro sarà trovare soluzioni che preservino il valore autentico del Made in Italy, pur riconoscendo la natura globale del commercio moderno. Sarà necessario un approccio multifacettato che coinvolga legislatori, produttori, consumatori e innovatori tecnologici.

In un mondo dove le frontiere commerciali sono sempre più sfumate, l’Italia ha l’opportunità di ridefinire cosa significa essere “autenticamente italiano” su scala globale: non si tratta solo di proteggere un marchio, ma di preservare e promuovere un patrimonio culturale e produttivo unico al mondo.
L’Italian Sounding, paradossalmente, potrebbe essere visto come un tributo involontario al fascino e al valore percepito dell’italianità. La sfida sta nel trasformare questa imitazione in un’opportunità per rafforzare e promuovere l’autentico Made in Italy, educando il mondo alla vera essenza della qualità e dello stile italiano.

In questo viaggio tra autenticità e imitazione, tra tradizione e innovazione, il Made in Italy si trova di fronte a una sfida cruciale: rimanere fedele alle sue radici mentre si adatta a un mondo in rapida evoluzione. La risposta a questa sfida determinerà non solo il futuro economico dell’Italia, ma anche il modo in cui il mondo percepirà e valorizzerà l’unicità della cultura italiana negli anni a venire.

 

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